Covid-19 e lesioni cutanee

Grazie allo studio dell’Unità Ospedaliera Complessa di Dermatologia dell’Ospedale di Lecco guidato dal dott. Fabrizio Fantini e a quelli successivi di altri, oggi sappiamo che anche solo una macchia cutanea può essere spia dell’infezione da Covid-19. Ecco le linee guida ADOI derivanti da questi risultati.

“In questi mesi di pandemia abbiamo appreso che il Covid-19 non colpisce solo l’apparato respiratorio, ma anche quello gastrointestinale o circolatorio. E recentemente abbiamo appurato che anche la pelle può essere un bersaglio dell’infezione e le manifestazioni cutanee possono aiutarci quindi a individuarla anche in soggetti asintomatici“, ha dichiarato Fabrizio Fantini.

I dermatologi hanno infatti osservato le lesioni cutanee provocate dal Covid-19 in un gran numero di pazienti ricoverati con infezione in corso, ma anche in asintomatici. Hanno quindi definito e pubblicato le evidenze, sottolineando che le manifestazioni cutanee sono quanto mai varie e possono essere riscontrate a qualunque età.

I dermatologi segnalano che nei pazienti sintomatici sono stati riscontrati rash cutanei e a varia morfologia diffusi su tutto il corpo che insorgono generalmente in concomitanza della classica sintomatologia Covid-19.

In questi casi le manifestazioni sono eruzioni cutanee, e vescicole che possono portare prurito. Negli asintomatici si sono osservate lesioni alle estremità delle mani e dei piedi che somigliano ai comuni geloni del freddo, ovvero macchie rosse, gonfie, con sensazione di prurito e bruciore.

Sulla base di questi dati, sono state messe a punto alcune linee guida ADOI per aiutare la popolazione a orientarsi ed effettuare i corretti percorsi diagnostici.

Fonte: https://www.adoi.it/covid-19-e-lesioni-cutanee-le-linee-guida-adoi-per-orientarsi-ed-effettuare-i-corretti-percorsi-diagnostici/


DL Rilancio, persone con disabilità e pazienti immunodepressi

Art.73 – Permessi 104/1992 per maggio e giugno

Confermato anche per i mesi di maggio e giugno l’aumento dei giorni di permesso lavorativo (ex articolo 33, legge 104/1992) già previsto dal decreto “Cura Italia” (art. 24).

Come per il periodo marzo/aprile anche per i mesi di maggio e giugno sono concessi 12 giorni aggiuntivi complessivi di permesso lavorativo a chi assiste un familiare con grave disabilità o al lavoratore con grave disabilità.

I 12 giorni si aggiungono a quelli ordinariamente previsti (3 per maggio, e 3 per giugno). Il totale del periodo è quindi 12+3+3 = 18 giorni lavorativi di permesso.

Art. 74 – Malattia e assenze equiparate a “ricovero ospedaliero”

Prorogato quanto disposto dall’art 26 del decreto “Cura Italia” dal 30 aprile al 31 luglio 2020

I criteri per accedervi sono:

disabilità grave”, ai sensi del citato articolo 3, comma 3, della legge n.104/1992;

patologia cronica in trattamento con immunosopressori

lavoratori con patologie oncologiche o sottoposti a terapie salvavita” in possesso di idonea certificazione.

In tali casi, l’assenza dal servizio sarà equiparata al ricovero ospedaliero ai sensi dell’articolo 19, comma 2, del decreto legge 2 marzo 2020 n. 9.

Fonte: Gazzetta ufficiale


Quando l'isolamento diventa un rifugio che non si vuole lasciare

Prima i canti baldanzosi sui terrazzi, poi la valanga di meme ironici sui social, un occhio sempre allo schermo del PC e l’altro alla torta in forno.

Piccole strategie di sopravvivenza che hanno contribuito ad allentare la tensione e affrontare questi due mesi di quarantena. Ma ora che finalmente il conto alla rovescia è iniziato e si intravedono piccoli bagliori di normalità cosa succede? Sottotraccia balena un pensiero difficile da ammettere: quasi quasi non esco più.

L’isolamento trasformato in comfort zone. Connessi e contenti. Non è cosi raro sentire persone che si sono adattate fin troppo bene alla reclusione domestica al punto che ora temono il momento di uscire. Come mai?

Le persone e le famiglie che hanno un funzionamento psicologico più stabile tendono ad adattarsi con maggiore facilità a situazioni nuove così hanno trovato, in modo adattativo, una nuova routine più intima, casalinga, al riparo da tanti impegni e pressioni quotidiane. Altri ci si sono invece, per così dire, “rifugiati” sottraendosi a una vita faticosa che subivano magari senza accorgersene. Sono questi ultimi più probabilmente quelli che ora hanno l’impressione di non essere più in grado di riprendere i ritmi della vita pre-quarantena.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica dell’Ospedale San Raffaele e professore associato dell’Università Vita Salute del San Raffaele di Milano

L’esperienza che abbiamo vissuto è sicuramente inedita, può rendercela in qualche modo più “familiare” avvicinarla a situazioni più comuni come la malattia e la convalescenza.

La fase 2 assomiglia alla convalescenza e come tale va affrontata per gradi perché all’inizio si è meno vigorosi e non si può pensare di ributtarsi nella quotidianità contando sulle forze abituali. Stare molto in casa indebolisce corpo e psiche anche se non si è stati realmente malati.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica

L’isolamento ha anche avuto un effetto tsunami su due categorie essenziali per il funzionamento psichico: lo spazio e il tempo. Lo abbiamo sperimentato tutti: è bastata una settimana di lockdown per farci avvertire come remote le abitudini di soli pochi giorni prima. Alla contrapposizione del prima-dopo si aggiunge quella del fuori-dentro, importanti nella riflessione, come gli aspetti per così dire “binari” delle personalità: introversione ed estroversione.

I soggetti caratterizzati dalla prima tendono alla solitudine, alla riflessione e all’introspezione, coltivano meno legami ma in modo più approfondito. Dall’isolamento traggono energia e creatività. Gli estroversi invece si nutrono di stimoli molteplici provenienti dall’ambiente esterno e di relazioni diversificate, privati di questi elementi perdono motivazione e si “spengono”. Questo è uno degli aspetti del funzionamento psicologico che spiega perché, a parità di situazione a cui si è esposti, alcuni la vivono come una liberazione e altri come una prigione. Insieme a queste inclinazioni di base ci sono poi situazioni di disagio di fondo, magari prima ben compensate dal contesto: pensiamo a una personalità con elementi narcisistici lievi che si è vista sottrarre improvvisamente reali o presunte fonti di gratificazione e ammirazione; oppure a tratti di personalità dipendente che si sono trovati senza l’abituale “porto sicuro” affettivo.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica

Impegni ridotti al minimo, molto tempo per assecondare gli interessi e nessun senso di colpa per le ore passate davanti alla tv: non è difficile riconoscere nella parentesi-quarantena una specie di “adolescenza prolungata” con la vita vera degli impegni rimandata a “dopo”.

Questo può aver conquistato i riluttanti all’uscita?

È un tempo sospeso, per alcuni versi simile all’adolescenza, in equilibrio tra l’infanzia e l’età adulta. La sospensione riguarda anche obblighi e responsabilità, per questo ha un suo fascino che la mantiene desiderabile nei suoi elementi di regressione. Non bisogna dimenticare però che per alcuni è stato anche un tempo di riscoperte positive, di legami familiari vissuti più pienamente, di case abitate, di oggetti ritrovati, come per esempio i vecchi album di fotografie. Sono pezzi della propria identità che nella freneticità della vita precedente alla quarantena non trovavano spazio. Ora è difficile ributtarsi nella corrente, abbandonando questi aspetti.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica

Comprensibile, ma forse non abbastanza per ribaltare, come capita a qualcuno, scelte che sembravano imminenti, come andare a convivere o cambiare casa.

Se la quarantena ha rappresentato una frenata improvvisa è normale che gli oggetti più instabili cadano e che si mettano in discussione equilibri e programmi. Per chi ha avuto le risorse per farlo è stato quasi un periodo di “esame di coscienza”. Non sarà un caso se anche i ritiri di silenzio e discernimento delle tradizioni spirituali si modulano su quaranta giorni, una quarantena, appunto.

Valentina Di Mattei, psicologa clinica

Articolo tratto da “Il Corriere della Sera” a cura di Monica Virgili


Biosimilari: i dubbi delle associazioni di pazienti sui cambi di terapia

“No” ai continui cambi di terapia e “sì” a una comunicazione più efficace tra medico e pazienti. Motivo del contendere sono i farmaci biosimilari. Il monito, invece, è di cinque associazioni di pazienti, che rappresentano 4,2 milioni di italiani con malattia immunologiche croniche. Queste le sigle: Amici onlus (Associazione nazionale malattie infiammatorie croniche intestino), Amrer (malati reumatici Emilia-Romagna), Anmar (Associazione nazionale malati reumatici), Apiafco (Associazione psoriasici amici della Fondazione Corazza) e Apmarr (Associazione nazionale persone con malattie reumatologiche e rare).

La posizione sui biosimilari

Le cinque organizzazioni hanno sottoscritto un “documento di consenso” per lanciare un messaggio alle istituzioni: “Il continuo cambio di trattamento da un farmaco biosimilare a un altro, il cosiddetto “switch multiplo”, potrebbe – affermano le associazioni in un comunicato – ridurre l’aderenza alla terapia, oltre a esporre il paziente a possibili rischi dovuti all’impossibilità di raccogliere dati a medio-lungo termine, e va pertanto riconsiderata la proposta di sostituibilità automatica tra questi farmaci avanzata da Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, per razionalizzare la spesa farmaceutica del Servizio sanitario nazionale (Ssn)”. La proposta Aifa risale all’autunno scorso.

Questi gli altri punti chiave del documento: “Una maggiore e più uniforme comunicazione per valorizzare il concetto di biosimilare e aumentare l’aderenza; informazione e sensibilizzazione sulla sostenibilità del servizio sanitario e sul valore del farmaco; il reinvestimento delle risorse per migliorare l’accesso alle cure; l’uniformità territoriale della disponibilità dei farmaci; l’inclusione delle associazioni pazienti nei tavoli istituzionali”.

L’indagine

All’origine del documento c’è un’indagine su un campione di 1.330 pazienti (di cui il 42% in trattamento con biosimilari), realizzata con il contributo incondizionato di Amgen. Secondo i risultati, “il 77% del campione in cura con biosimilari ha già fatto uno switch al secondo trattamento, prescritto nel 29% dei casi per motivi economici, nel 25% per ragioni cliniche, nell’11% per ragioni organizzative”. Il 48% ha dichiarato di “aver ricevuto spiegazioni inadeguate/insufficienti sui motivi dello switch e tra questi la maggior parte ha ricevuto il biosimilare per motivi di risparmio”. Il 18% del campione ha fatto uno “switch multiplo” e le spiegazioni fornite “sono analoghe a quelle dello switch da biologico a biosimilare”.

La comunicazione

Il documento pone poi l’accento sulla comunicazione: “è importante – si legge nella nota delle associazioni – che vengano valorizzate, nel dialogo con il medico, le informazioni sui biosimilari in termini di efficacia e sicurezza e non solo l’impatto che possono avere sul risparmio per il Ssn. Le associazioni pazienti concordano sul fatto che la comunicazione fatta al medico e al paziente sui biosimilari non sia uniforme e che vengano pertanto trasferiti messaggi diversi. C’è un problema di uniformità – sottolineano le associazioni – ma anche di qualità dell’informazione disponibile al medico e al paziente: in particolare il medico, per motivi di diversa natura, organizzativi, strutturali e di risorse, non è mai in grado di dedicare un tempo adeguato per comunicare al paziente tutte le informazioni che – concludono le associazioni – sarebbe utile fossero a disposizione del paziente stesso”.

Fonte


Sensibilizzare i giovani alla malattia: nasce il progetto "Fattore J"

Fondazione Mondo Digitale in collaborazione con Janssen Italia ha fatto partire un progetto molto interessante che riguarda la fascia di ragazzi in età adolescenziale, tra 14 e 18 anni, per sensibilizzarli ed educarli verso una situazione complessa come può essere quella del malato. L’obiettivo è quello di formare le nuove generazioni verso una maggiore consapevolezza sulla malattia in generale, cosicché possano gestirla e affrontarla nel modo più efficace possibile.

Molte sono le attività che i ragazzi delle scuole svolgeranno durante questa iniziativa, tra cui corsi di formazione online ed eventi locali in cui parteciperanno esperti e membri di varie associazioni pazienti.

Vuoi saperne di più sul progetto? A questo link puoi leggere in dettaglio di cosa si tratta. In basso puoi vedere il video presentazione del progetto e leggere comunicato stampa dell’evento. Buona visione.

Comunicato stampa evento 8 Maggio 2020


Psoriasi e Covid-19: da EUROPSO un sondaggio per sapere come stai

EURPSO, l’organizzazione europea che riunisce varie associazioni che trattano di psoriasi (tra cui la nostra) ha lanciato un sondaggio rivolto ai pazienti con psoriasi: il progetto prende il nome di “PsoProtect Me“.

Vi riportiamo in seguito il testo tradotto riguardo il progetto e il sondaggio, il quale è in lingua inglese e richiede circa tra i 5 e 10 minuti per essere completato.

Chiediamo a chiunque si affetto da psoriasi, che abbia avuto o meno i sintomi del covid-19, di compilare il sondaggio “PsoProtect Me”. Questo richiede circa 5-10 minuti e riguarda i tuoi sintomi, i trattamenti della psoriasi e qualsiasi altro tipo di condizione medica di cui sei affetto. Se hai contratto il COVID-19, ti chiederemo che impatto ha avuto su di te e sulla tua psoriasi.

Le tue risposte ci aiuteranno a capire come la pandemia ha influenzato le persone con la psoriasi e se i trattamenti che si utilizzano per la psoriasi abbiano aumentato (o diminuito) il rischio di infezione da COVID-19. Queste informazioni aiuteranno i medici a prendere decisioni importanti sul percorso clinico delle persone con psoriasi durante la pandemia.

Tutti potranno trarre beneficio dal tuo contributo, ti chiediamo gentilmente di completare il sondaggio PsoProtectMe oggi.

Per partecipare al sondaggio puoi cliccare QUI.

Grazie!


Nasce “Dermatologicamente”, progetto di supporto psicologico per pazienti psoriasici

È con grande piacere che vi presentiamo il progetto “DermatologicaMente“, un servizio di supporto psicologico gratuito rivolto a persone con patologie dermatologiche croniche (quali la psoriasi) realizzato in collaborazione con GPL – Giovani Psicologi Lombardia.

DermatologicaMente, attivo su tutto il territorio nazionale, vuole offrire un aiuto concreto e professionale a coloro che vivono già normalmente un disagio psicologico provocato dalla patologia ma che in questo momento non possono neanche contare sull’incontro con il proprio specialista, fondamentale nell’affrontare il peso di una malattia dermatologica cronica, come la psoriasi.

In questo periodo di emergenza Coronavirus – afferma Valeria Corazza, Presidente APIAFCO – non potevamo ignorare la fragilità emotiva dei pazienti con patologie dermatologiche croniche come la psoriasi: chi vive con questa patologia ha una scarsa autostima e viene sopraffatto da sentimenti di insicurezza e/o rabbia che, in questo momento, possono acuirsi perché si sente abbandonato. Ecco perché il focus di questo progetto è sull’aspetto psicologico della malattia, a cui si deve prestare una particolare attenzione, la stessa che si riserva alla psoriasi”.

Per accedere alla piattaforma di consulenza e prenotare un colloquio, collegati cliccando QUI

Il progetto è stato realizzato grazie al contributo non condizionato di Leo Pharma Italia.


L’incontro: «Diventare mamma con una malattia autoimmune»

Venerdì 8 maggio alle ore 16, collegandosi a Corriere.it si potrà assistere all’incontro in streaming video «Diventare mamma con una malattia autoimmune».

Parteciperanno: Clara De Simone, U.O.C. di Dermatologia al Policlinico “A. Gemelli” IRCCS, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma; Angela Tincani, U.O. Reumatologia e Immunologia Clinica della ASST Spedali Civili di Brescia, Università degli Studi di Brescia; Antonella Celano, Presidente APMARR (Associazione Nazionale Persone con Malattie Reumatologiche e Rare); Valeria Corazza, Presidente APIAFCO (Associazione Psoriasici Italiani Amici della Fondazione Corazza); Silvia Tonolo, Presidente ANMAR (Associazione Nazionale Malati Reumatici).

Leggi QUI l’articolo completo.


Ministero della Salute: pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il decreto 30 aprile 2020

E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 112 del 2 maggio 2020, il decreto del Ministro della Salute con cui vengono definiti i criteri relativi alle attività di monitoraggio del rischio sanitario (di cui all’allegato 10 del d.P.C.M. del 26 aprile 2020) per l’evoluzione della situazione epidemiologica. 

Per classificare il rischio sanitario connesso al passaggio dalla fase 1 alla fase 2 sono stati individuati alcuni indicatori con valori di soglia e di allerta che dovranno essere monitorati a livello nazionale, regionale e locale: indicatori di processo sulla capacità di monitoraggio; indicatori di processo e sulla capacità di accertamento diagnostico, indagine e gestione dei contatti; indicatori di risultato relativi a stabilità di trasmissione e alla tenuta dei servizi sanitari.  

Le soglie definite negli indicatori sono volte a mantenere un numero di nuovi casi di infezione da Covid-19 stabile anche in ospedali, rsa, case di riposo, e a impedire il sovraccarico dei servizi sanitari. Mentre i valori di allerta identificati serviranno per decidere eventuali revisioni delle misure adottate.


Covid-19 e cuore: una convivenza difficile

Covid-19 e malattie del cuore: insieme aumentano il rischio di morte. Lo dicono i dati finora raccolti e presentati dai ricercatori dell’INMI “L.Spallanzani” nell’informativa quotidiana al personale interno. L’approfondimento in questo articolo a cura di Carola Pulvirenti che puoi leggere cliccando QUI